Conteneva cannella, cedro, resina e menta, sostanze messe insieme a fermentare per rendere il vino più dolce e gustoso.
Non è una scoperta nuova che, nell’antichità, il vino non fosse fatto con uva pura ma ora è giunta una conferma importante in quanto, nel nord di Israele, a Naharya, sono state trovate quaranta anfore risalenti a 3700 anni fa, all’interno della cantina di un palazzo. Era la scorta di vino della famiglia, il vino da bere nei momenti importanti, durante i banchetti.
Così veniva preparato il vino della tradizione biblica e quello, per esempio, che venne servito da Gesù alle nozze di Caana.
Nelle anfore antiche si metteva un po’ di tutto: le susine appena mature, le albicocche, le pere e le mele e, alla fine, l’uva.
I più antichi residui di vino sono stati trovati in Iraq, all’interno di una sola anfora, qualche anno fa, da una spedizione americana ed è vino che risale a 6.000 anni fa. Anche in quel caso non era un succo ricavato da sola uva.
Bisogna tenere presente che, a quell’epoca, il vino non era un alimento ma un liquido per i rituali, per l’estasi dionisiaca, una sorta di bevanda usata nei riti religiosi, abitudine che è rimasta ancora durante la celebrazione della messa.
Più tardi, i Greci usarono, invece, solo uva, al massimo mescolata con un po’ di resina ma perché il clima secco non faceva crescere molte altre piante da frutto – afferma il prof Attilio Scienza, docente di viticoltura a Milano – e, inoltre, il vino dell’antichità era sempre rosso, il bianco arrivò dopo il grande freddo del 1300, quando vitigni allora rossi mutarono, come accadde con lo Chardonnay.
Un paragone con un vino attuale potrebbe essere fatto oggi con il Moscato di Pantelleria, anche perché il vino un tempo era solo dolce e il Moscato di Pantelleria è il vino che ancora oggi viene fatto con la stessa tecnica consigliata da Esiodo, cioè al vino base viene aggiunta un po’ di uva passa.
Sempre secondo il prof. Scienza, il vino puro è un sogno moderno, degli ultimi tre secoli. Prima lo si sofisticava anche con spezie e frutti usati come conservanti e aromatizzanti o come antisettici per evitare il proliferare dei batteri.
Gli Assiro-Babilonesi aggiungevano miele e mosto cotto, che serviva per bloccare la fermentazione in un’ epoca senza solforosa e con poca igiene, i Romani aggiungevano la mirra.
La scoperta e le analisi del gruppo israeliano e statunitense che ha ritrovato le anfore indicano anche che già 3.700 anni fa si cercava di far riconoscere il proprio vino, producendolo con la stessa ricetta. Curtis Runnels, archeologo di Boston, dice che le analisi chimiche hanno chiarito che il contenuto di ogni anfora è molto simile a quello delle altre, “dimostrando coerenza e controllo produttivo che ci si aspetta da ogni cantina”.
(liberamente tratto da DiVini di Luciano Ferraro)
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