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Il nuovo Museum Of Modern Art di New York, anche conosciuto con il suo acronimo MoMa, è una delle molte ragioni che suggeriscono un viaggio almeno annuale a New York. Ogni volta si resta affascinati dalle tante mostre temporanee, oltre che dai classici dell’arte mondiale dal ‘900 ai giorni nostri.
La storia vera del MoMa è la storia degli Stati Uniti d’America e della loro capacità di innovare ed anticipare i tempi in tutti i campi. Il MoMa nasce nel 1928 dalla intuizione e dalla caparbietà di un gruppo di fantastiche donne, capeggiate da Abby Aldrich Rockefeller (moglie di John D. Rockefeller Jr.) e da due delle sue amiche, Lillie P. Bliss e Mary Quinn Sullivan. Il loro gruppo divenne noto con vari soprannomi, tra cui “the Ladies” (It. Le Signore), “the daring ladies” (It. Le ardite Signore), e “the adamantine ladies” (It. Le Signore adamantine). Come sede del museo da loro ideato affittarono un edificio piuttosto modesto e lo aprirono al pubblico il 7 novembre 1929, 9 giorni dopo il crollo di Wall Street. Si trattò di uno dei primi musei statunitensi ad essere dedicato interamente all’arte moderna e d’avanguardia europee.
“Il museo, dapprima ospitato in sei stanze tra gallerie e uffici al dodicesimo piano del Manhattan’s Heckscher Building, all’angolo tra la 5th Avenue e la 57ª Strada, nei suoi primi dieci anni di vita si spostò in altre tre sedi provvisorie. Il ricchissimo marito di Abby era un fiero oppositore del museo (e in verità di tutta l’arte moderna) e si rifiutava di concedere finanziamenti per l’avventura, finanziamenti che dovettero essere trovati in altro modo e la mancanza dei quali si tradusse in effetti nei frequenti cambiamenti di sede. Nondimeno, alla fine egli donò il terreno su cui venne edificata l’attuale sede e fece altre donazioni di tanto in tanto, diventando comunque, suo malgrado, uno dei più grandi benefattori del museo (…)”. Così si legge su Wikipedia alla voce dedicata al museo.
Ma c’è un’altra ragione che obbliga un passaggio al MoMa, ed è il suo bar e ristorante, il “The Modern“.
Si tratta di un luogo a doppia chiave di lettura, che si snoda su due grandi sale ad affaccio totale sui giardini del museo, tra sculture di pregio e silhouette di grattacieli.
Il banco del bar è lungo circa 15 metri ed è arricchito da una lunga serie di bottiglie di liquori e vermut di tutti i colori e tipi, molti dei quali, ovviamente, italiani. Nell’area bar non solo si possono provare cocktail magistrali, ma si possono gustare, in versione ridotta e con formula più veloce, le pietanze preparate dal nuovo Chef, che ha preso lo scettro del ristorante nel 2014, Abram Bissel.
Quest’anno sono tornato al bar, per pranzo, il primo giorno, e per cena, dopo qualche giorno, alla dining room. La continuità con la tradizione fresca, ma sempre elegante e perforante tipica del The Modern conferma la qualità della formula di questo straordinario ristorante.
La bravura degli americani consiste prevalentemente nel sapere istituzionalizzare i luoghi e le storie di successo. In Italia, tutto è legato sempre alla genialità ed unicità dell’individuo, chef, artista, capitano d’impresa, musicista o avvocato che sia; in USA è l’istituzione ristorante, museo, azienda, studio legale a vincere, indipendente dalle assolute peculiarità degli individui. Il The Modern è ormai una istituzione newyorkese e anche se cambia lo chef, nulla in verità cambia.
Dalla mia doppia esperienza di quest’anno, riporto qui gli esiti della mia dinner choice: Lobster al tartufo, come entrèe e Duck en Chartreuse, come main course. Entrambi i piatti notevoli, originali, sopratutto l’anatra allo chartreuse e ben eseguiti.
Ho accompagnato la degustazione con un ottimo bianco Collio Borgo del Tiglio, DOC, 2009. Si tratta di un vino chardonnay bianco, fermo, di 14 gradi di gradazione. Vino fermo prodotto nelle cantine friulane Borgo del Tiglio, premiato dalla Guida del Gambero Rosso con tre bicchieri, adatto per accompagnare antipasti e formaggi leggeri, oltre che piatti di pesce, anche importanti.
Sarà stata la qualità del vino, sarà stata l’atmosfera artistica dei luoghi o la bravura dello chef, ma per me il Bianco del Tiglio è andato alla grande anche con l’anatra preparata alla francese, oltre che con l’aragosta al tartufo.
The Modern is kinetic, recita il suo motto e il cibo e il vino che vengono serviti sono super.
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