E’ il secondo anno consecutivo che vado ad Alba. Le ragioni sono molteplici, ed ogni volta ho un motivo nuovo ed una curiosità in più da soddisfare.
In genere si va ad Alba per vivere la fiera del Tartufo Bianco, o per andare a visitare le antiche, blasonate ma sempre discrete cantine piemontesi che parlano di Barolo, Nebbiolo, Dolcetto e Barbera. Qualcuno preferisce arrivare fino ad Alba anche solo per farsi un selfie davanti ai cancelli della Ferrero, dove viene prodotta la fantasmagorica Nutella.
Io, in verità, da due anni – e di seguito – sono andato ad Alba per passare una giornata al ristorante pluripremiato e stellato Piazza Duomo, regno dello Chef Enrico Crippa.
E’ questo un posto fiabesco. Situato proprio sulla piazza centrale di Alba, in un antico palazzetto dalle fattezze settecentesche, ma dalle fondamenta ben più antiche. Al piano terra domina il fresco “bistrot” La Piola, sempre un prodotto “Made in Crippa”. Al primo piano invece spiccano i finestroni del ristorante principale, a cui si accede da una stradina laterale, bussando ad una piccola porta rosso cera lacca.
Le sale sono eleganti e sobrie: l’una più semplice e neutra, l’altra, la principale, caratterizzata dalla presenza avvolgente di un affresco del Maestro Francesco Clemente, che rappresenta il mondo, i cinque continenti e la cultura del vino che li pervade, attraversandoli tutti, metaforicamente sulle grandi pareti rosa, con una fluida immagine che richiama un tralcio di vite in evoluzione.
L’atmosfera è giusta, degna di un ristorante premiato con le tre stelle michelin e considerato tra i migliori ristoranti al mondo; qui non c’è nè il formalismo dell’Epicure di Parigi – di cui parlerò in una prossima occasione – ma neanche il giovanilismo spinto del Noma di Copenaghen – ristorante straordinario che ho visitato tre anni fa e dove mi riprometto di tornare, per poterlo qui commentare con più freschi ricordi.
A differenza dello scorso anno, questa volta siamo una tavolata di 10 persone, provenienti da Italia (Liguria, Piemonte, Basilicata e Calabria), Stati Uniti, Regno Unito e Irlanda. Ordiniamo tutti il menu speciale che prevede l’inserimento del tartufo bianco in (quasi) tutti le portate – salvo che non se ne chieda espressamente l’esclusione in qualche piatto in particolare.
Si inizia con vari piccoli snacks e “amuse bouche”, per passare al primo piatto in menu, le capesante con patate americane e tartufo – per inciso, non sono un fan delle capesante, sia che le si chiami St.Jaques, alla francese, scallop, all’inglese o cozze San Giacomo, alla barese, ma le capesante di Crippa, sono un’altra cosa: il risultato è un piatto bello, temperato ed equilibrato. Arriva subito dopo l’immancabile tartara “di razza fassona”, con porcini a crudo, tartufo bianco e la goccia caramellata di olio d’oliva.
Gli agnolotti del plin al tartufo bianco sono semplicemente divini. Volano e spariscono lasciando una voglia matta di insistere, continuare e perseverare. Il risotto porcini, tartufo e anice stellato riporta con i piedi per terra, declinando ancora una volta le delizie del tartufo affiancato alle creazioni dello Chef.
La pernice con fois gras e tartufo bianco chiude la carrellata dei main courses alla grande, aprendo cosi le porte ai desserts e ai dolci, dove sopra tutti campeggia il montebianco con salsa di cachi, da tutti trovato eccellente, ma che invece ho trovato meno efficace di tutto il resto, proprio per via del cachi e forse anche perché qui abbiamo evitato (sbagliando?) di far grattare il tubero bianco.
Ma passiamo ai vini: quando la compagnia è così eclettica e vasta, non è sempre facile guidare la scelta, come spesso invece mi capita. Ognuno ha le sue bottiglie del cuore o nuove curiosità da soddisfare. L’errore è dietro l’angolo ed occorre essere attenti.
Abbiamo deciso di restare in Piemonte, ovviamente e la scelta è caduta su un paio di diverse specialità.
Quasi mai seguo le sirene del “pairing”, ossia del degustare ad ogni nuovo piatto un vino diverso, sia perché poi difficilmente ricordo cosa ho bevuto e non sempre ho voglia di fare foto e prendere appunti mentre mangio; sia perché qualche volta le scelte dei sommeliers non si combinano perfettamente con le mie inclinazioni e al mattino successivo il mal di testa che bussa alla nuca è quasi sempre assicurato.
Al bando il wine pairing, dunque, e vai di bottiglie per tutto il tavolo. Per iniziare, un Pafoj Bianco del Monferrato 2013 delle cantine Icardi. Il Pafoj – dove il nome indica una espressione locale che sta a significare “non siamo mica matti!” – è un vino DOC fresco ed elegante, 60% Sauvignon e 40% Chardonnay, un mix equilibrato dei migliori vitigni bianchi, esaltato dalla coltivazione in terra delle Langhe.
Il vino, di colore giallo paglierino e di 12 gradi alcolici, è perfetto per introdurre un pranzo importante, e grazie alla sua versatilità si accompagna ad ogni tipo di antipasto di pesce, carne, verdure e formaggi freschi.
A seguire un grande Barolo, il Bric del Fiasc DOCG di Paolo Scavino, annata 2010.
Un vino di 14,5% di gradazione alcolica, giustamente definito, dai migliori sommeliers, come un vino da meditazione.
Quando sei assiso alla tavola del grande Chef di Piazza Duomo, il vino deve seguire il passo, deve tenere il ritmo e deve accompagnare ogni nuova uscita sulla tavola, senza sopravanzare, senza alterare l’esperienza ed ecco perché tra i tanti Baroli, la scelta cade sul rosso fermo, intenso e garbato del Bric del Fiasc, che è l’ideale per degustare gli agnolotti del Plin ed il risotto al tartufo.
Per concludere si voleva scendere il Sicilia, per un passito, ma il garbato sommelier ci ha suggerito di restare al nord e provare un Cellagrande Tardif del 2001: ancora una volta un Erbaluce di Caluso DOCG, dal colore giallo dorato e dalla gradazione di 13,5%, prodotto con vitigni Cabernet Sauvignon.
Una scelta sorprendentemente azzeccata e filologica.
Come tutto è in perfetta armonia qui in Piemonte: paesaggi, natura, cibo, vino, arte, il tutto in oscillazione ed equilibrio tra le vestigia di uno storico passato e un futuro ricco di belle sorprese, laddove il presente è saldamente nelle mani delle migliori eccellenze italiane.
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