Le viti, sostenute in ricchi festoni
dalla saggezza degli ulivi,
arrossiscono alle avances del tramonto.
Troppi pampini,
troppe promesse non mantenute.
Seduta sotto il porticato dalle ciglia d’edera,
sorseggio l’ultima unghia di luce.
Il prezioso oro potabile nel calice scintilla
come l’anima inquieta di una lampara.
Amo così tanto il vino
che odio i mangiatori d’uva.
Amo così tanto l’amore
che odio quelli che non hanno cuore.
La trasfusione di sangue vegetale
ha curato il mio male
e la nostalgia – ebbra – si allontana
barcollando e canticchiando una canzone
che ha per ritornello il tuo nome.
Non rimane un buon ricordo – diceva mio nonno –
dove si è bevuto del vino scadente.
La luna di sughero tappa il buio
prima che il bicchiere mi sembri troppo vuoto.