Cortina d’Ampezzo non è solo la rinomata località sciistica e turistica che tutti conosciamo: è anche la sede della vigna più alta d’Europa: 1382 m /slm è infatti l’altezza massima a cui giungono i suoi filari, mentre la minima è di 1350 m.
Certo, si tratta di un piccolo vigneto sperimentale: appena 2000 piante di 4 diverse varietà di uve, due bianche e due nere: Incrocio Manzoni Bianco, Palava, André e Petit Rouge. E se non ne avete mai sentito parlare, non preoccupatevi: nemmeno molti addetti ai lavori le conoscono tutte e quattro, perchè sono particolarissime uve frutto d’incroci, sul cui comportamento si sta ancora studiando. Si trovano qui, ad un’altezza buona tutt’al più per crescere conifere e sempreverdi perchè hanno una certa attitudine a resistere al freddo invernale. Ma non è solo questo l’aspetto più interessante di questa “Vigna 1350″ , come viene chiamata: anche la sua storia è degna di nota. Vigna 1350 è in realtà la scommessa che un gruppo di amici appassionati di viticoltura ed enologia - gli enologi Fabrizio Zardini e Gianfranco Bisaro, Francesco Anaclerio, direttore del Centro sperimentale dei vivai cooperativi Rauscedo, e Federico Menardi Comin, imprenditore e winelover – stanno provando a vincere: dimostrare che è possibile coltivare uva in alta montagna.
E’ una specie di ritorno alle origini, perchè secondo gli studiosi la vitis vinifera proviene da qualche ambiente montano del Caucaso o dell’Armenia. “Portare la viticoltura a Cortina era un omaggio alle sue origini, perchè la vite è coltivata in zone limitrofe alla conca Ampezzana, sia a sud, nella vicina val Belluna, che a nord, in Pusteria, ed è probabile che in forma primitiva sia stata presente anche nelle coltivazioni familiari degli abitanti di Ampezzo, fino a non molto tempo fa” dice Zardini.
Le barbatelle sono ancora giovani: impiantate il 2 giugno 2011, con una densità di 6500/ha, nel settembre 2012 avevano già i primi grappolini, ma in questi pochi anni ha sperimentato le condizioni meteoclimatiche più estreme: dalla siccità alla grandine a nevicate così abbondanti da ricoprire interamente tutte le piante. La scelta di impiantare varietà di uve così poco familiari ai più, ispirata da esperimenti in Cile, dove in fatto di vigneti in alta quota non scherzano, si è perciò rivelata azzeccata. Ma lo scopo del vigneto non è solo studiare il comportamento della vite in condizioni estreme, ribadisce l’enologo Zardini, ” ma è anche un modo per richiamare l’attenzione verso le problematiche di tutela dei boschi e di riqualificazione di aree parzialmente o totalmente abbandonate”.
Il progetto gode di alcuni sponsor tecnici, che hanno fornito il materiale necessario a impiantare il vigneto, ma per il resto è interamente autofinanziato dal gruppo di amici. Per chi volesse saperne di più, il sito è questo, ma il consiglio è di andare a vederlo: posto poco fuori l’abitato di Cortina, lo si raggiunge a piedi attraversando un bosco. Una passeggiata che merita fare.