IspirazioniNarrativa
16 ottobre 2014, 07:15

ottobre

Inchiostro rosso

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Come si supera il blocco dello scrittore? Barbaresco e crema di tartufi. Un incantesimo che trasforma la penna in una bacchetta magica.

C’è un orario critico anche per gli scrittori, soprattutto in autunno, quando le giornate si accorciano come i pantaloni di un bambino che cresce troppo in fretta rispetto allo stipendio del papà.

L’orologio segna le diciassette, ma è un’illusione architettata dalla neo-rientrata ora solare. Fuori non è ancora notte, però bisogna accendere la luce per continuare a scrivere. Si comincia ad avere un certo languorino, ma è troppo presto per cenare. La penna scorre con fatica sul foglio fino a quando l’inchiostro sembra finire improvvisamente. La mano diventa pesante. Il callo del dito medio punge come se fosse un puntaspilli. Lo schermo del portatile si trasforma in un acquario ma il merito non è dello screensaver, è colpa della vista che comincia a perdere colpi.

Urge qualcosa che lubrifichi i pensieri, qualcosa che dia un colpo di spugna a questa atmosfera che non ha né il profumo caldo della luce diurna, né il fascino misterioso della notte.

Io, più che uno scrittore, mi considero un imbrattacarte, ma quando mi ritrovo in questa situazione ho ben chiaro quale sia la manovra di salvataggio.
Corro in cucina, mi verso un bicchiere di Barbaresco e spalmo su una fetta di pane un po’ di quella crema di tartufi che produce il mio amico Francesco e che mi regala – fortunatamente – ogni anno a Natale.

Ritorno, con fare furtivo, alla mia scrivania armato di vettovaglie. Alla mia destra appoggio il calice, alla mia sinistra la fetta di pane. La grazia odorosa del Barbaresco incontra a metà strada il richiamo sensuale del tartufo. Si baciano e si abbracciano sotto il mio naso che non si sente il terzo incomodo. Qui smentisco il dio dei sorcini e il triangolo lo considero come una benedizione. Il Barbaresco, io e la crema di tartufo. Non serve altro per ricaricare la mia penna.

Inizio bevendo un sorso. Per me questo è il vino Dottore, un vino che suscita rispetto perché, pur avendo un’indiscutibile eleganza, non rinuncia alla sua libertà. Porta il panciotto ma non si lascia inamidare il colletto. Ti conquista il palato con fare posato ma poi ti scoppia in bocca con la sua ampia risata. Un po’ barbaro e un po’ dantesco.

Prima che l’incantesimo del Barbaresco sia svanito, addento la mia fetta di pane. Me ne frego delle briciole che si insinuano nella tastiera, saranno utili a qualche acaro Pollicino. Corro il rischio che il foglio si macchi. Poco male. La carta troppo immacolata, senza ditate, senza bolle di unto parla di una capacità creativa poco vibrante. Può il grembiule di un cuoco rimanere incorrotto? Chi va al mulino si infarina.

La carezza carica di elettricità del tartufo accende il sapore del vino come fosse un acceleratore di combustione. Un altro sorso. Alcol sul fuoco. Un altro morso. Un boccone di legno di castagno che crepita di gioia nella mia bocca, tra le fiamme del Barbaresco.

Ora ho le idee chiare.

Kate, la protagonista del mio romanzo, non la faccio morire. Troppo facile morire. Bisogna lottare.
La mia penna non sta più nel cappuccio dall’entusiasmo. Si torna a scrivere. L’inchiostro blu rassomiglia al rosso del Barbaresco.
Sangue, inchiostro e vino si mescolano per alimentare l’ispirazione. Un’unghia di luna fa capolino dalla tenda. È arrivata la notte a farmi compagnia.

Il mio romanzo si scriverà da solo.

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