Tutti, ma proprio tutti, abbiamo partecipato a, se non addirittura organizzato, un picnic almeno una volta nella nostra vita.
Picnic in campagna, al parco, nella pineta vicino al mare. Picnic ovunque. Ma il picnic per eccellenza resta quello che si svolge d’estate in montagna. Sfido chiunque a dire diversamente!
“Con il termine picnic – si legge su Wikipedia – si identifica quel tradizionale pasto all’aperto che abbia una funzione sociale e ludica e non solamente alimentare. Ciò che lo caratterizza è il piacere del contatto con la natura e la partecipazione di più persone che provvedano a portare singolarmente il cibo che viene poi condiviso, senza avere l’ufficialità e lo sfarzo del convivio aristocratico. L’etimologia deriva, attraverso la voce inglese picnic, dal termine composto piquenique, che in francese abbina piquer (prendere, rubacchiare, spilluzzicare) all’arcaico nique (piccola cosa di poco valore). Il termine sembra si sia diffuso a partire dalla fine del XVII secolo e, inizialmente, si riferiva alla frugalità dell’evento, eseguito al di fuori dei riti imposti dal pranzo, composto da pochi e semplici cibi sottratti direttamente alla cucina. L’Oxford English Dictionary registra l’apparizione, nella lingua inglese, del vocabolo Picnic nell’anno 1748, utilizzato da Lord Chesterfield Philip Stanhope.”
Maestri nell’arte del celebrare il picnic sono gli inglesi, che ancora commercializzano ad esempio con Harrods e Fortnum & Mason i famosi cestini da picnic, diventati celebri nel mondo grazie alle avventure e ai viaggi raccontati dalla letteratura dell’epoca coloniale e del Gran Tour.
Ho la fortuna di avere una famiglia piuttosto ampia e ricca di bambini e dunque la tradizione di fare picnic, sopratutto in estate, quando tutti ci riuniamo in Lucania, non è mai venuta meno.
Anche quest’anno abbiamo scelto le pendici del Pollino, nell’omonimo Parco Nazionale appenninico, nel territorio, bellissimo, di San Severino Lucano e ci siamo fermati in un bosco di querce secolari.
A me è toccato, manco a dirlo, di occuparmi dei formaggi e del vino.
Sui formaggi, non ho avuto alcuna esitazione a scegliere varietà diverse di pecorini e vaccini lucani, dal canestrato di Moliterno, al caciocavallo podolico, oltre a locali specialità acquistate direttamente da imprenditori dediti alla pastorizia e alla produzione di latte e formaggi casarecci, come Vincenzo De Palma di Senise, che produce la migliore ricotta al mondo, venduta nelle giuncate di ginestra, come una volta.
Quanto al vino, ho effettuato una scelta forse un pò azzardata e sicuramente sui generis, accostando ad un tradizionale ed ottimo Aglianico del Vulture, DOC, Cantine del Notaio, Il Sigillo, 2008, un altrettanto sorprendente e magnifico Benaco Bresciano Rosso IGT, Nero del Lago, Malavasi.
Bere un grande vino lucano, abbinato a formaggi del posto e ad altre delizie caserecce, non è scelta ardua ed è quasi come compiere un goal a porta vuota. Non altrettanto scontata la scelta del Benaco Rosso Bresciano.
Questo è un vino prodotto sulle colline del Lago di Garda, tra quelle Valtenesi ai piedi della Valsabbia, dal colore rosso rubino intenso. Ciliegia, mirtilli e altri frutti rossi, riecheggiano qua e là tra naso e bocca.
E’ un vino che nasce da uve Groppello, Marzemino, Barbera, Sangiovese e Cabernet, allevate a filari con potatura a guyot, per poi passare ad affinamento e fermentazione in acciaio a temperatura controllata.
L’attenzione si è tutta soffermata sul Nero del Lago. Anche se la temperatura di servizio richiesta sarebbe stata tra i 15 e i 18°C, mentre in montagna la temperatura ambiente ad agosto si attestava quel giorno intorno ai 23°C, l’effetto sorpresa di quella bottiglia, unito alle indubbie qualità del prodotto, hanno decretato il successo unanime del Malavasi, che in un ipotetico duello con il blasonato Aglianico delle Cantine del Notaio, ha riportato uno strepitoso quanto inaspettato pareggio.
Il picnic è dunque riuscito. Con tali ingredienti e primizie, in una cornice perfetta di vera natura incontaminata e con vini italiani di prima qualità, non poteva, d’altronde, andare diversamente.